Dopo 18 mesi di attesa, venerdì 24 gennaio è finalmente entrato in vigore il decreto attuativo del Mase, recante le misure incentivanti per le Cacer - Configurazioni di autoconsumo per la condivisione dell’energia rinnovabile.
Benché lo stesso non fosse stato divulgato anticipatamente dal ministero, fin dal maggio dello scorso anno gli organi di stampa hanno dato ampio risalto ai suoi contenuti, facendo esplicito riferimento alla bozza inviata all’antitrust europeo. E in effetti una prima superficiale lettura del decreto emanato pareva interamente rispondente alla bozza che ha circolato tra gli operatori del settore per oltre un semestre.
Tuttavia, una più attenta analisi delle prescrizioni del decreto entrato in vigore ha suscitato grande stupore e finanche sgomento in tutti coloro che attendevano con ansia l’emanazione di quest’ultimo decreto attuativo per dare finalmente via a tutte quelle configurazioni di energia rinnovabile già pronte in via embrionale e ferme al palo in attesa dell’ultimo step normativo.
In particolare, una norma del decreto in analisi crea notevoli problemi e finanche insuperabili danni a tutti coloro che dal dicembre 2021, vale a dire dall’entrata in vigore del Dlgs 199/2021, stanno preparando la costituzione, e quindi l’entrata in esercizio di comunità energetiche rinnovabili e di gruppi di autoconsumo collettivo.
La costituzione della Cer
Ci riferiamo all’articolo tre, comma secondo, lettera c) del decreto, che così recita: «le Comunità energetiche rinnovabili risultano già regolarmente costituite alla data di entrata in esercizio degli impianti che accedono al beneficio, e prevedono, nel caso di imprese, che la loro partecipazione in qualità di soci o membri sia consentita esclusivamente per le pmi».
Solo lievemente differente dalla bozza inviata alla commissione europea, che recitava: «le Comunità energetiche rinnovabili risultano regolarmente costituite alla data di presentazione della domanda di accesso agli incentivi di cui al presente Titolo”, ma in maniera tale da avere una portata dirompente per tutti coloro che bramavano l’entrata in esercizio di una comunità energetica e a ciò si erano per tempo preparati realizzando impianti fotovoltaico di potenza entro il MW, confidando nella loro pacifica attrazione nelle costituende Cer.
Non serve, infatti, una difficile attività di esegesi della norma per comprendere come il decreto Mase renda valorizzabili per le comunità energetiche solamente quegli impianti che siano entrati in esercizio in data successiva alla costituzione della Cer medesime.
Il contrasto normativo emerso
Proprio qui sta il problema e, se vogliamo, la contraddizione con la norma madre in materia di Cacer: il citato Dlgs 199/2021.
Infatti, l’articolo 8 comma 1 lettera a) del decreto che: «possono accedere all’incentivo gli impianti a fonti rinnovabili che hanno singolarmente una potenza non superiore a 1 MW e che entrano in esercizio in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto». Orbene, questa evidente discrasia non può che suscitare più di un quesito a chi si approccia da giurista alle comunità energetiche. E, infatti, nozione del primo anno del corso di laurea in giurisprudenza che nell’ordinamento italiano viga un rigido criterio di gerarchia delle fonti che vede i decreti ministeriali al gradino più basso.
Di conseguenza, risulta del tutto evidente come il decreto ministeriale alla citata lettera c) del comma secondo dell’articolo tre, imponga una restrizione, a parere di chi scrive, del tutto illegittima al più ampio dettato del decreto legislativo 199 del 2021, in quanto norma di rango inferiore.
Addentrandoci ancor più l’argomento, tale contrasto assume toni finanche grotteschi. La norma in esame, infatti, recita le Comunità energetiche rinnovabili risultano già regolarmente costituite alla data di entrata in esercizio degli impianti […], implicando, di conseguenza, la necessità di domandarsi quando una Cer risulti regolarmente costituita.
Il momento della costituzione
Proprio qui si innesca il paradosso: dal combinato disposto degli articoli 31 e 32 del Dlgs 199/2021 si ricava la definizione di Comunità energetica rinnovabile quale soggetto di diritto autonomo, costituito da persone fisiche e giuridiche, enti pubblici ed enti religiosi, che regolano i loro rapporti attraverso un contratto di diritto privato e che condividono al loro interno energia autoprodotta dai membri della stessa.
Ciò, in parole semplici, significa che la comunità energetica rinnovabile minima costa almeno di un produttore ed un consumatore, che devono sussistere al momento della costituzione dell’ente Cer, che sia nella versione semplificata dell’associazione o in quella più complessa della società cooperativa o consortile.
Ma se il decreto Mase statuisce che siano valorizzabili solo gli impianti entrati in esercizio dopo la regolare costituzione della Cer, non si potrà mai avere un produttore in sede di costituzione dell’ente e conseguentemente si giungerà al paradosso di non poter mai regolarmente costituire una Cer, rendendone quindi impossibile la costituzione in senso assoluto stando alle prescrizioni del decreto in parola.
Costituibili Cer di soli consumatori?
Salvo che il ministero reputi costituibili Cer con finalità per così dire “promozionali”, formate da soli consumatori, di talchè non in grado di condividere alcuna fonte di energia rinnovabile, ma tale interpretazione risulterebbe recisamente in contrasto con il disposto del Dlgs 199/2021.
La tesi del Mase è peraltro smentita dal Gse con le FAQ pubblicate sempre il 24 gennaio, ove si legge che «L’adesione alla Cer di un consumatore di energia o di un produttore di energia rinnovabile può avvenire nella fase di costituzione legale della Cer, ovvero in una fase successiva, secondo le modalità previste negli atti e negli statuti delle stesse Cer».
Orbene, se il produttore può essere socio fondatore della Cer vuol dire che il suo impianto è entrato in funzione prima della costituzione medesima, in difetto non potrà, gioco forza, dirsi produttore di energia rinnovabile.
Il divieto di partecipazione delle grandi imprese
Ma quanto fin qui esposto non basta, altra evidente discrasia tra la citata lettera c) dell’articolo 3, comma secondo, del decreto Mase e l’articolo 31 comma primo lettera b) del Dlgs 199/2021 riguarda il divieto di partecipazione alla Cer delle grandi imprese.
Sul punto, invero, il Mase opera una cesura netta, finalizzata ed escludere tout court le grandi imprese («le Comunità energetiche […] prevedono, nel caso di imprese, che la loro partecipazione in qualità di soci o membri sia consentita esclusivamente per le Pmi»), al contrario la norma di rango primario riserva solamente a determinati soggetti, tra cui le Pmi, la possibilità di esercitare potere di controllo sulla Cer, non escludendo, però, affatto le grandi imprese dal novero dei meri consumers.
Peraltro, tale interpretazione estensiva era stata confermata dall’altra norma tecnica prevista dal Dlgs Cer, emanata da Arera in data 27 dicembre 2022 con deliberazione 727/2022/R/EEL, recante «Definizione del Tiad, testo integrato dell’autoconsumo diffuso».
Nella citata delibera Arera, nei vari «considerato che» si legge: «con riferimento all’individuazione dei soggetti facenti parte delle configurazioni per l’autoconsumo diffuso, alcuni soggetti interessati: hanno richiesto di chiarire che i grandi consumatori (soggetti diversi dalle PMI, dalle persone fisiche e dagli altri soggetti previsti dall’articolo 31, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 199/21) possano essere membri delle CER/CEC, fermo restando che tali “grandi consumatori” non possano assumere il controllo delle relative CER/CEC sulla base delle regole previste dagli statuti delle medesime CER/CEC. Tale richiesta, come evidenziato dai medesimi soggetti interessati discende dalla previsione dell’articolo 31, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 199/21, secondo cui <la partecipazione alle comunità energetiche rinnovabili è aperta a tutti i consumatori, compresi quelli appartenenti a famiglie a basso reddito o vulnerabili, fermo restando che l’esercizio dei poteri di controllo è detenuto dai soggetti aventi le caratteristiche di cui alla lettera b)»; ai sensi dell’articolo 31, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 199/21, l’esercizio dei poteri di controllo fa capo esclusivamente a persone fisiche, PMI, enti territoriali e autorità locali, ivi incluse le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, gli enti del terzo settore e di protezione ambientale, nonché le amministrazioni locali contenute nell’elenco delle amministrazioni pubbliche divulgato dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) secondo quanto previsto all’articolo 1, comma 3, della legge 196/09, che sono situate nel territorio degli stessi Comuni in cui sono ubicati gli impianti di produzione facenti parte della CER; - alcuni soggetti interessati hanno evidenziato che è necessario chiarire se il gestore di SDC relativo a una rete elettrica portuale possa partecipare alla CER/CEC, nonché essere il soggetto gestore della medesima CER/CEC (ovvero soggetto referente)».
Partecipazione grandi imprese solo quali autoconsumatrici
Sul punto le FAQ pubblicate sul sito di Gse risultano perimenti sconcertanti: alla risposta alla domanda «Le grandi imprese possono far parte di una Cer»” si legge «No, le grandi imprese non possono essere membri di una Cer ma possono far parte di un gruppo di autoconsumatori rinnovabili». Al di là del netto diniego alla partecipazione delle over PMI alle CER, GSE evoca un istituto mai definito da alcuna delle norme sopra menzionate: il gruppo di autoconsumatori rinnovabili.
Molto probabilmente il Gestore dei Servizi Elettrici si può ritenere che voglia fare riferimento agli autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente, i gruppi di autoconsumo collettivo, definiti dall’articolo 30, comma secondo, del Dlgs 199/2018.
Qui, invero, il paradosso raggiuge i suoi massimi: condicio sine qua non per la costituzione di un gruppo di autoconsumo collettivo è la collocazione dei membri nello stesso edificio o condominio, ebbene qualcuno ha mai visto una grande impresa, che so una Esselunga Spa, una Barilla Spa, una Stellantis, allocare i propri siti di produzione all’interno di un condominio?
Considerazioni conclusive
In conclusione, non si può che invocare un rapido quanto efficacie intervento chiarificatorio del legislatore, per emendare gli evidenti contrasti di cui si è dato qui conto, in difetto risulterà vanificato un tanto atteso istituto, che avrebbe potuto apportare benefici sociali, economici ed ambientali, contribuendo alla riduzione delle emissioni dei gas serra nonché al contenimento della spesa energetica per le famiglie nell’ordine anche del 20/25.

